fbpx PRIGIONIERI di Frosini-Timpano, Saggio di Diploma 2022 | CASSIOPEA TEATRO

PRIGIONIERI di Frosini-Timpano, Saggio di Diploma 2022

Prigionieri
Di F. T. Marinetti
Regia di Frosini / Timpano
Aiuto regia Beatrice Mitruccio
Luci Raffaella Vitiello
Scene e costumi Marta Montevecchi
con Marco Barra, Sofia Bernasconi Gazzotti, Giulio Brunotti, Laura Camassa, Benedetta Calogero, Peter Joshua Ta Galassi, Mattia Guerra, Federica Patera, Alessandro Pazzaglia, Marco Gregorio Pulieri, Sofia Luna Quattrocchi, Francesco Tirimacco, Riccardo Valente

Domenica 2 ottobre ore 21.00 - Teatro Biblioteca Quarticciolo

Nota allo spettacolo
Prigionieri – Otto sintesi incatenate di Filippo Tommaso Marinetti è un piccolo non-classico del Novecento, capolavoro teatrale forse minore ma notevolissimo del fondatore del Futurismo italiano. È andato in scena in Italia una sola volta, a Roma, nello scomparso Teatro di Villa Ferrari, il 22 maggio 1925, in una messinscena a cura della compagnia Ferrari / Picasso e dello stesso autore, con le musiche originali del compositore futurista barese Franco Casavola e le scene dell’altrettanto futurista Enrico Prampolini.
Per lo spettacolo di diploma degli allievi del III anno dell’Accademia Cassiopea abbiamo scelto quest’opera in consonanza col tema del nostro ultimo lavoro di compagnia, Disprezzo della donna, dedicato alla donna ed a futuristi e futuriste italiane. Tra i moltissimi materiali in cui ci siamo imbattuti durante la preparazione c’erano ovviamente anche Marinetti ed il teatro marinettiano, di cui nulla è rimasto nei repertori e nel ricordo dei più - se non qualche sintesi futurista degli anni ’10 e qualche manifesto - e che invece al teatro ha dedicato, con continuità,
una grandissima parte della sua carriera di scrittore fino agli anni ‘30. Questo Prigionieri del 1925 - pur mantenendo la sinteticità ed uno sguardo agli aspetti scenici, ritmici, alle immagini più che alla parola ed ai dialoghi – fa già parte di un periodo di recupero di una forma teatrale più estesa ed in qualche modo meno “radicale” ma, a nostro parere, forse più efficace ed esportabile nel presente: non più testi di una o due pagine o di poche battute, brevi immagini folgoranti, spesso geniali, ma altrettanto spesso incastrate in un’epoca o nell’autoreferenzialità di un Movimento sempre in auto-propaganda di se stesso, che utilizza il teatro anche per propagandare esplicitamente le sue idee artistiche e politiche o per criticare la borghesia dell’epoca; ma un testo articolato, asciutto ma complesso, onirico, pieno di suggestioni spaziali e luministiche, ritmiche come scenografiche, che se da un lato – come molta opera marinettiana – ricorda un po’ le radici simboliste e decadenti, dunque pre-futuriste, della sua scrittura (viene in mente per esempio forse il Maeterlinck de L’intrusa, 1890), dall’altro ricorda non solo le opere coeve del Pirandello metateatrale o di Rosso di San Secondo, ma pare anche anticipare certe atmosfere del teatro del dopoguerra di Beckett e Ionesco.
Il testo è ambientato in un carcere, in una fortezza in riva al mare, sul Golfo di Napoli, mentre da qualche parte, là fuori, continua la “conflagrazione generale” e, come apprendiamo nelle ultime scene, comincia a diffondersi un’epidemia mortale. Evidente nell’orizzonte dell’autore il riferimento alla Prima guerra mondiale ed all’influenza “Spagnola” del 1918 ma tutto appare anche non contestualizzato, felicemente scontornato. I prigionieri del titolo sono prigionieri di guerra, guardati a vista da una guarnigione altrettanto prigioniera e da un guardiano con una misteriosa malattia - prigioniero a sua volta sia della prigione che della malattia - e da sua moglie Rosina, che in quanto donna è qui doppiamente prigioniera. Vittima di un marito violento ma anche, forse, carnefice del marito, Rosina è la prigioniera per antonomasia della pièce.
Personaggio plurimo, quasi senza volto, viene introdotta scena per scena per dettagli, proiezione dell’immaginario maschile sulla donna e via via nel testo madre, figlia, amante, moglie, vittima, ladra, assassina, Madonna, strega, belva vicina allo stato di natura, medusa che tutti pietrifica, morte che tutti porta via. Il testo, scritto con un linguaggio che è indubbiamente quello di cento anni fa, forse datato ma anche comprensibile e felicemente immaginifico, è nella sua struttura e
concezione estremamente moderno, fatto di scene non dette e di azioni corali, di lunghi silenzi cronometrati, con momenti di grande astrazione alternati a passaggi molto più colloquiali e diretti.
Estremamente cupo, in qualche passaggio violento, ed insieme sempre leggero e spensierato, ironico se non apertamente comico. Si prestava benissimo ad un lavoro sia fisico che vocale, una drammaturgia scenica che utilizzasse il ritmo e le geometrie dei corpi nello spazio e che valorizzasse il singolo senza tralasciare l’apporto e l’ascolto di tutti. Sottoporre allo studio ed all’approfondimento degli allievi del III anno di una Accademia teatrale non “un classico”, ma un testo di valore recuperato da un oblio quasi totale - se non per pochi studiosi ed appassionati di teatro - è un lavoro in piena coerenza col nostro percorso autorale e registico di compagnia e con quella che pensiamo sia parte della nostra vocazione culturale di “persone di teatro”.

Elvira Frosini e Daniele Timpano

 

INFO E PRENOTAZIONI: 06 5580827 - 340 3029448 - scuola@cassiopeateatro.org